Le ombre del passato
Introduzione
Le ombre del passato è l’approfondimento gratuito della trilogia Oltre il confine, nato dal desiderio di mostrarvi una realtà parallela a quella di Sabrina Baldi.
Le dinamiche descritte si svolgeranno in linea temporale con Alle porte del mondo - il secondo capitolo della storia - e vi sveleranno alcune situazioni e personaggi che andranno a intrecciarsi con la vita segreta di Aleksander Savi. Il ragazzo che ha conquistato il cuore della protagonista.
Riconduciamoci al momento in cui Sabrina, ignara, si gustava un gelato con la sua amica Samantha. Sedute comodamente in una panchina dei giardini di Como, questo è quello che accadeva...
I
24 Luglio 2013 - Ore 16:07
Aleksander sanguinava mentre la Porsche sfrecciava lungo l’autostrada A9. Gocce copiose macchiavano il polsino della sua camicia, ma lui era troppo concentrato per badare a simili particolari.
Aveva fretta di tornare a Como.
Da giorni ormai il suo unico pensiero era lei, Sabrina. Uno spiraglio di luce, tra tanta oscurità, lo spaventava di più delle tenebre perché a quello c’era abituato. Quasi si sentiva a casa nascosto dalle ombre del suo passato, anche se minacciavano il controllo che aveva conquistato, a preoccuparlo era quella creatura innocente piombata nella sua vita con una tale potenza da sopraffarlo.
Non si interrogava sul perché, ma solo per la paura di una risposta ignorata da anni.
Era più semplice fingere, indossando quella maschera capace di renderlo invincibile agli occhi della gente; in fondo era questo che sapeva fare meglio.
La vita troppo presto si era mostrata crudele e spietata. Il male non ha pietà per nessuno, nemmeno per un bambino di sette anni, e lui era cresciuto con la rabbia per ciò che gli era stato tolto e per ciò che gli era stato negato: la verità.
Il silenzio aveva dominato sulla sua infanzia, facendogli maturare pensieri che avevano condizionato il suo modo di vedere, da lontano, il mondo che lo circondava.
Lusso, falsità, ipocrisia... sapeva bene cosa fossero. Il doversi mostrare per ciò che non era salvava le apparenze, ma finiva inesorabilmente per domandarsi quale senso avesse la sua vita in un circuito di sorrisi dipinti sui volti, come un quadro privo di emozioni.
Un senso però, finalmente, sentiva di averlo trovato, sentiva una fiamma ardere nel suo cuore pura e incondizionata. Ignorarla gli era stato impossibile e domarla lo era stato altrettanto.
Suonò il cellulare.
Pigramente abbassò il volume della radio prima di rispondere attivando l’auricolare.
«Dimmi.»
«Come “dimmi”? Ti aspettavo!»
Sorrise Aleksander sentendo la voce dell’amico, forse l’unico che poteva definire tale oltre a Oliver Padrini, il suo avvocato.
«Nicolas un’altra volta, sto tornando a Como. Ho delle cose da sbrigare. Hai ricevuto il mio messaggio?»
«Sì che l’ho ricevuto e io ne avevo un altro per te, ma speravo di vederti di persona. Lo sai che non mi piace parlare per telefono.»
«Tranquillo è una linea sicura.»
«Non c’è niente di sicuro» precisò Nicolas ben cosciente di ciò che diceva.
«Hai letto il messaggio?» incalzò Aleksander sorvolando sul tono gravoso dell’amico.
«L’ho letto, l’ho letto...»
«Quindi?»
«Quindi ho controllato ed è come pensavi. Si
sta muovendo qualcosa, somme importanti da
conti svizzeri. Se non gli hanno ancora ipotecato la casa è solo grazie al suo generoso benefattore.»
Anche Aleksander sapeva di dover ringraziare l’informatico che sentiva respirare dall’altra parte della cornetta. Nicolas e la sua mente geniale lo avevano aiutato in diverse occasioni, ma questa volta la questione era più complicata del previsto.
«Nicolas trovami il nome. Devo capire chi c’è dietro a questa storia.»
«Chiunque sia ha salvato Filippo Virto dalla galera.»
«Sua figlia è ancora in città, stalle alle costole.» Un momento di silenzio intercorse tra loro. «Aleksander?»
«Cosa?» borbottò assorto nei suoi pensieri,
pensieri che nonostante tutto continuavano a condurlo a lei.
«Non voglio sapere chi sia stato a farti quei nomi, ma chiunque sia lo inviterei a cambiare aria. Svetlan ha sguinzagliato i suoi uomini e quando lo fa è perché vuole la testa di qualcuno.»
«Svetlan l’ho incontrato stamattina, e con uno dei suoi uomini ho avuto il piacere di scambiare
quattro chiacchiere pochi minuti fa» disse ripensando a ciò che era accaduto...
Stava raggiungendo la macchina che sostava nel suo posto abituale. Si era accorto di essere seguito dalle vie del centro, in cui fingeva di passeggiare osservando le vetrine. Era stato un atti
mo. Estraendo la chiave della Porsche vide il riflesso di un uomo dal vetro dei finestrini, giungergli alle spalle. Aleksander non fece altro che seguire l’istinto. Era abile in ciò che faceva e non poteva nascondere a se stesso che era proprio quell’adrenalina a esaltarlo; gli scorreva nelle vene accendendolo di puro piacere, un piacere che a volte non sapeva controllare.
Lasciò il corpo esanime dell’uomo disteso sull’asfalto, senza degnarlo di uno sguardo perché se lo avesse fatto... oh... avrebbe continuato fino a fargli sputare i denti che aveva in bocca. Ma sapeva chi c’era dietro e perdere tempo non gli era mai piaciuto. Quindi salì in macchina ignorando il messaggio di Svetlan, ma lasciandogliene in compenso uno lui.
«Aleksander guardati alle spalle.»
«Tu stai addosso a Veronica.»
«Quella ragazza non è la soluzione.»
«No, ma è la chiave per arrivarci.»
«Che cos’hai in mente?» domandò Nicolas insospettito.
«Tu stalle addosso. Aggiorniamoci più tardi.»
«Okay, ma fai come ti ho detto.»
Riattaccò e dopo qualche secondo Aleksander
decise di affidarsi al suo sesto senso. Se era vero quanto gli aveva detto Nicolas era meglio agire subito.
Digitò il numero sul display e avviò la chiamata.
C’era qualcosa nell’aria e lo avvertiva. Fin da bambino fiutava il cambiamento come una cicatrice sensibile al clima e lui ne portava una così profonda da renderlo ciò che era sempre stato, diffidente.
Più voci gli erano giunte alle orecchie e da quella stessa mattina, in cui si era svegliato tra le braccia di Sabrina, non riusciva a ragionare con lucidità.
Forse nel vederla sarebbe riuscito a trovare la giusta concentrazione, quella necessaria in casi come quelli.
«Pronto?»
Finalmente rispose e pur sapendo Aleksander che non sarebbe stata veloce, si lasciò andare a un sospiro di sollievo. Aveva la sua età dopo tutto, un’età considerevole e un corpo affaticato da una vita passata a scappare, e per l’ennesima volta avrebbe dovuto farlo.
Quando il destino scriverà la parola fine? Quando la pace giacerà su di loro come una confortevole coperta? Ne avevano bisogno, ognuno di loro, ma ancora di più lei.
«Jayani... mi dispiace dirti che... ti devo portare via da Conzano. Le ombre stanno avanzando.»
II
24 Luglio 2013 - Ore 18:42
Veronica tamburellava nervosamente le dita sul portatile che teneva in grembo. Non sapeva decidersi e la cosa non era da lei.
Era una ragazza sicura, ma non sempre riusciva ad ottenere quello che voleva e questo, molte volte, la portava a comportarsi in modi inaspettati.
Probabilmente gli ultimi anni, da lei stessa definiti i più duri, erano stati determinanti.
Credeva di sopportare l’indifferenza di Aleksander, ma le riusciva difficile pur sapendo che non sarebbe cambiato.
Lui spesso spariva senza nemmeno avvisarla e quando rientrava a Como, in quelle rare occasioni, voleva vederla, forse la desiderava; in fondo i loro incontri erano accesi da un’intesa palpabile.
La scintilla però, quella in grado di vincere sull’esigenza di ripartire, non l’aveva mai sfiorato.
Cosa c’era di sbagliato in lei?
Veronica se lo domandava, crogiolandosi per l’ennesima volta nel ricordo del loro ultimo incontro...
Risaliva ad aprile, in una notte di luna piena, Veronica sgattaiolò via da un festa organizzata da sua madre. Filippo, il padre, era fuori città per questioni di lavoro e questo per lei significava una cosa sola: Aleksander.
Si fece accompagnare dall’autista, dove lui la stava attendendo. Si controllò ansiosa le labbra passandosi uno strato di rossetto rosso; poi si sistemò la chioma di capelli corvino che le cadevano sul seno messo in evidenza dal vestito di pizzo nero. Si sentiva audace con le unghie perfettamente laccate e gli occhi evidenziati da un trucco nero che le conferiva uno sguardo da gatta.
«Fermati qui» ordinò con urgenza al suo autista.
La raffinata limousine, una Lancia Thesis Stola S85, si accostò al marciapiede vicino alla sagoma
di un uomo girato di schiena. Aleksander era tutto vestito di nero, con una giacca sportiva che gli dava un look casuale, e fingeva egregiamente di non prestare attenzione all’enorme mezzo alle sue spalle. Si guardò attorno e con il volto chino salì in auto. Appena si accorse che Veronica non aveva alzato il divisorio - per impedire all’autista di sbirciarli dallo specchietto retrovisore - la fulminò con un’occhiata severa.
Veronica scattò immediatamente ordinando all’autista di partire. Premette il pulsante per creare quella privacy che tanto attendeva; poi lo guardò con occhi lussuriosi una volta che il divisorio fu sollevato.
«Che cazzo di novità è questa?» sbottò lui per quella circostanza che ai suoi occhi risultava inutile. Se l’intenzione era quella di impressionarlo si era dimenticata con chi aveva a che fare.
«Non ti ha visto in faccia» sorrise Veronica ignorando il motivo del suo disappunto.
«Lo sai che non mi piacciono queste stronzate. Non potevi venire da sola?» ringhiò.
«Così siamo più liberi» disse lei con voce morbida. «I vetri sono oscurati, nessuno ci potrà vedere e ho ordinato all’autista di guidare senza meta per tutta la notte. Voglio che ci porti lontano da Como.»
Aleksander si voltò nervosamente verso il finestrino osservando il lago allontanarsi alle sue spalle. Non era così che andavano di solito le cose e non era disposto a cambiarle.
«Digli di non allontanarsi da Como. Tra un’ora massimo sarò fuori da questa macchina. Quindi non perdiamo tempo» la fulminò di nuovo, facendola sussultare per la ferocia di quegli occhi azzurri tanto ammalianti quanto calcolatori.
«Come vuoi» rispose conscia dal controllo che Aleksander esercitava su di lei.
Era amareggiata ma nel vederlo finalmente accanto a se tutto precipitò nel desiderio.
Aveva un’ora e doveva sfruttarla.
Veronica si allungò verso Aleksander senza attendere un suo cenno. Lo sentì tendersi ma dopo poco iniziò a ricambiare il suo coinvolgimento. Affannata gli baciò il collo, lui le sollevò il vestito,
a accarezzò sfacciatamente e Veronica non capì più nulla. Si spostò sopra di lui, ma una ciocca dei suoi capelli si impigliò ad uno dei costosi orecchini che portava. Erano degli splendidi pendenti in oro bianco, con diamanti incastonati di varie dimensioni, appariscenti ma raffinati, come del resto lo era lei. Fece per toglierseli quando Aleksander la fermò.
«Tienili, mi piace vederli su di te» e una scintilla maliziosa attraversò i suoi occhi azzurri.
Scelse di non soffermarsi sul perché di quella richiesta e riprese a baciargli il collo. Gli sbottonò la camicia accarezzandogli il petto, esaltata per l’eccitazione che le dava sentire le sue unghie scorrere su quel corpo marmoreo. Si lascio andare completamente perdendo di vista un confine mai oltrepassato, e tentò di baciarlo.
Un gesto naturale, per due persone nella loro intimità, ma non per Aleksander che la schivò come se fosse la peste.
Entrambi si irrigidirono e per alcuni secondi nessuno dei due parlò; poi scuotendo lentamente la testa, Aleksander, tornò a guardarla.
«Conosci la regola, non farmela ripetere» sibilò, mostrandosi più nervoso di quanto avrebbe voluto.
«È inutile che ti agiti. So bene che ti piace quello che vedi» rispose Veronica abbassandosi con audacia la lampo del vestito.
«Non ho mai detto che non mi piacesse.»
Un brivido percosse Veronica fino al basso ventre quando lui le afferrò la nuca guidandola sul suo inguine. E Veronica lo fece, ingorda di prendere ciò che le concedeva, si inginocchiò tra le sue gambe alzando di tanto in tanto gli occhi per guardarlo, ma Aleksander contrariamente teneva lo sguardo altrove.
Quella fu l’ultima volta che si incontrarono.
Avrebbe voluto essere più affettuosa - in quella come in altre occasioni - ma non le riusciva perché lui sembrava infastidito da quelle smancerie.
La verità, però, era che le cose le andavano bene così com’erano.
Si era rassegnata all’idea di viverlo quando voleva lui, ma incontrarlo di nascosto senza troppe domande la divertiva. Quindi non vedeva il motivo di complicare la situazione, ma dei fastidiosi problemi erano subentrati da qualche mese a quella parte: il primo era Alberto Croveri e il secondo, più recente, emerso a luglio era... lei, Sabrina Baldi.
Veronica come Aleksander andava cercando solo il piacere e almeno con lui sapeva di trovarlo, ma adesso c’era quella ragazzina al suo fianco e il solo pensiero la faceva ardere di rabbia.
Sabrina era riuscita dove Veronica aveva fallito, ma si chiedeva, e probabilmente lo sperava, se anche quella fosse una farsa.
Nel profondo di se la risposta la conosceva ed era stata quella consapevolezza a trasformarla in una ragazza priva di scrupoli. E in quella notte, in cui compì quell’atto ignobile, sentii la disperazione prevalere. Non comprese i motivi di tanto odio, ma lo provò.
Quando si svegliò il giorno seguente Alberto la invogliò ancora ad abusare di quelle sostanze che le avrebbero impedito di ragionare, e lei accettò.
Era entrata in un tunnel, un tunnel che le dava sollievo e allo stesso tempo la inghiottiva, ma le
bastava pensare a Sabrina per riemergere bruscamente e respirare il dolore di una vita infelice.
Lei amava Aleksander e lo odiava in uguale misura, perché le aveva dato ma tolto molto di più e per questo detestava Sabrina; che ai suoi occhi era diventata un terribile ostacolo da eliminare. Non capiva se avesse davvero bisogno di Aleksander o se fosse l’ennesimo capriccio. Sentiva solo l’esigenza di riaverlo e ottenere da lui tutto quello che le aveva negato.
Premette invio sulla tastiera del portatile e attese, immaginando il momento in cui Aleksander avrebbe risposto alla video chiamata, con uno sguardo complice, che non avrebbe risparmiato di utilizzare contro Sabrina.
Aveva ben chiaro cosa doveva fare: bastava spiegargli i motivi che l’avevano spinta a frequentare Alberto - omettendo naturalmente la verità - e avrebbe aggiustato le cose.
Perché a Veronica piacevano le attenzioni che quel ragazzo le riservava, ma quando Aleksander la beccò in sua compagnia - qualche giorno dopo il loro ultimo incontro - in un famoso locale milanese, prese a evitarla scatenando in lei la paura di poterlo perdere.
Ma come poteva perdere qualcosa che non aveva mai avuto?
A confonderle inizialmente le idee fu l’interesse che Alberto dimostrò per Aleksander. Poche persone sapevano cosa facesse e lei non era tra quelle.
Veronica per la prima volta si soffermò a pensare... Cosa combina Aleksander nella vita? Perché sparisce di frequente? E sopratutto, perché non vuole mai incontrarmi quando mio padre è in città?
Ma una domanda prevaleva sulle altre... Sabrina Baldi...?
Aveva tempo per scoprirlo, grazie al suo piano che sentiva essere perfetto, e ignara di ciò che Aleksander custodiva nel cuore, si pregustava già la vittoria...
III
25 Luglio 2013 - Ore 1:23
Il salotto era pieno di persone sedute in silenzio a un tavolo rettangolare in legno scuro. Una luce debole illuminava quanto basta i presenti in una notte milanese chiassosa.
Una figura apparve dal fondo della stanza e i bisbigli svanirono mentre tutti si prestarono ad alzarsi in piedi. Un segno di rispetto che Svetlan pretendeva dai suoi uomini.
Era un uomo minuto, di mezza età, con folti capelli biondi e pelle dall’incarnato chiaro. Aveva un aspetto curato e rigido, nel suo completo su misura, avanzò verso i suoi uomini.
Lo temevano e avevano tutte le ragioni per sentirsi minacciati in sua presenza. Negli ultimi anni aveva collezionato una serie di crimini volti a mantenere il potere sul suo territorio. Perché Milano era sua, come aveva sempre decantato, ma una mano più forte era riuscita a piegarlo.
Aveva sentito parlare di quell’uomo, ma mai aveva visto il suo volto. Un fantasma lo definivano, un’ombra che avanzava dal passato alla ricerca di riscatto. Il perché avesse bussato proprio alla sua porta era chiaro, ma non lo erano altrettanto i motivi della sua richiesta. Motivi che non era tenuto a sapere. A lui doveva bastare il compenso, ma chiedere non era mai stato un problema... fino ad allora.
Nessuno dai tempi in cui Svetlan viveva con suo padre lo aveva più sfiorato con un dito. Detestava quando succedeva perché era affetto da un disturbo ossessivo compulsivo che lo portava a ripudiare ogni forma di contatto fisico, ma a quella stretta non era riuscito ad opporsi.
Svetlan si massaggiò il braccio indolenzito gettando sul tavolo una busta contenete delle foto. Volti e nomi di persone a lui ben noti. Il primo che riconobbe fu Alberto Croveri.
Un personaggio di poco conto, usato per lavori scomodi in cui bisognava metterci la faccia.
Sapeva che si sarebbe messo fuori gioco da solo. Se c’era una regola da rispettare in quell’ambiente, era quella di tenere la bocca chiusa, e Alberto non era mai stato bravo in quello. Gli piaceva pavoneggiarsi e lo faceva per sentirsi qualcuno agli occhi della gente. Ma se fosse stato un esperto del settore, se ne sarebbe guardato bene dal far girare il suo nome.
Paolo Maffei invece, il secondo volto che riconobbe, era un bamboccio che seguiva le orme sbagliate, quelle di Alberto, e andava eliminato... entrambi andavano eliminati e l’ordine era arrivato proprio da lui.
Svetlan mostrò le due foto ai presenti quando una terza sfuggì alla sua presa, finì per cadere lungo il pavimento del salone. Uno dei suo uomini si prestò a raccoglierla e a porgergliela velocemente. Lui estraendo il suo fazzoletto di seta bianca, utilizzato come un guanto immacolato, prese la foto tra le dita.
Nell’istante in cui posò lo sguardo sull’immagine, Svetlan, si chiese dove avesse visto quella ragazza. Aveva capelli scuri e occhi nocciola, un
volto anonimo se non fosse per quel neo vicino al labbro che tanto gli ricordava qualcuno.
Era abituato ad associare i volti ai luoghi, un meccanismo mentale che lo aiutava a memorizzare le persone di cui conosceva poco o nulla, ma di quella ragazza proprio faticava a ricordare qualcosa.
«Al ristorante, capo» disse l’uomo robusto accanto a lui, dando risposta allo sguardo interrogativo di Svetlan.
«Lei?» domandò con tono duro, pensando a una possibile cliente del club.
«Sì capo, ma è sparita da qualche giorno» precisò prontamente.
Ecco dove l’aveva vista, nel suo locale, ma non riusciva a capire cosa c’entrasse con quei due. Dal canto suo non doveva fare domande, anche lei era da eliminare e ne era particolarmente dispiaciuto.
Quel faccino stuzzicava la sua fantasia.
«È sparita hai detto?» Svetlan cercò di fare mente locale.
«Patricia da due sere sta facendo la sua parte.»
«Lavorava per noi?» alzò di colpo il volto Svetlan con una punta di irritazione che non trattenne. Come aveva fatto a sfuggirle? Doveva lavorare per lui da poco, non c’erano altre spiegazioni.
«Ed era anche piuttosto brava» intervenne un altro scagnozzo con un sorrisino che svanì velocemente appena Svetlan lo guardò. «I clienti chiedono spesso di lei» concluse con tono dolente per la liberà che si era preso.
Quell’affermazione fece pensare Svetlan distraendolo dalla punizione che era pronto a infliggergli; com’era possibile che uno come lui, nella sua posizione, potesse permettere a un estraneo di comandare in casa sua?
Mai era successo.
«Trovatela! La rivoglio tra le mie ragazze. Nessuno mi può toccare fino a questo punto» e così facendo Svetlan cambiò le carte in tavola, sottovalutando un ombra che dal passato si stava facendo strada nel suo presente.
Un presente che si sarebbe riversato come lava bollente sulle vite di molti.
IV
25 Luglio 2013 - Ore 10:16
I minuti scorrevano inesorabili e Aleksander non si dava pace. Il tempo pur non essendo dalla sua parte non lo avrebbe fermato, a costo di perdere il volo, doveva trovarlo.
Non poteva sfuggirgli, anche se dileguarsi in un aeroporto come quello di Milano Malpensa non sarebbe stato difficile lui percorse mentalmente le possibili vie di fuga.
Di colpo si fermò.
Si guardò attorno con affanno, c’era vicino, la soluzione molto spesso era a portata di mano ma l’agitazione poteva trarlo in inganno.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
«Concentrati» mormorò a se stesso, sgomberando la mente da ogni distrazione, e un flashback lo folgorò.
Rivide il cappellino blu scuro che l’uomo indossava, il quotidiano sportivo che teneva in mano e l’orologio inconfondibile che esibiva al polso sinistro. Lo riconobbe perché era lo stesso modello che portava lui, un Girard Perregaux ore del mondo.
Strinse i pugni Aleksander pensando alla persona a cui mesi prima lo aveva regalato, la stessa persona che in quell’esatto istante si stava muovendo silenziosa alle sue spalle, ma lui fu più veloce.
Si girò repentino e afferrò l’uomo per il bavero della camicia. Lo spinse con sé dentro i bagni che avevano a pochi metri di distanza.
Il tonfo sonoro della porta coprì le imprecazioni di Aleksander mentre sbatté l’uomo contro le pareti piastrellate, ma invece di lamentarsi quest’ultimo scoppiò a ridere scoprendo i riccioli ribelli e quegli occhi da malandrino color miele.
«Nicolas!» sbottò in tono di rimprovero Aleksander.
«Questo chi te l’ha insegnato mia sorella?»
«No, tuo zio!» e lo spinse di nuovo trattenendosi dalla voglia di assestargli un pugno. «Che diavolo stai facendo, si può sapere?» sbraitò mostrando tutto il suo nervosismo.
«Ehi... dai calmati stavo scherzando.»
«Uno scherzo di merda. Non dovevi stare dietro a Veronica? Che cazzo fai in aeroporto?»
«Ti dimentichi che ho una casa anch’io? Mia mamma mi ha rotto per la festa di Giulia, dovresti saperlo visto che compie gli anni qualche settimana prima di te.»
Prese un respiro Aleksander passandosi esasperato le mani tra i capelli. I suoi nervi erano a pezzi e non servì a Nicolas domandargli il perché.
«Di bene in meglio... se mi dimentico anche questa volta del suo compleanno mi uccide» mormorò Aleksander.
«E io sarò felice di gustarmi lo spettacolo» e sorridendogli gli batté una mano sulla spalla nell’intento di sdrammatizzare, ma non servì a smorzare la tensione che vedeva sul volto di Aleksander. «Comunque quella è sistemata» concluse tornando serio, convinto che la notizia potesse alleggerire il peso che l’amico portava sulle spalle.
«Sistemata?» domandò Aleksander assorto in pensieri così lontani da quelli di Nicolas che lo confusero.
«Sistemata, come mi hai detto» lo guardò dritto negli occhi e per la prima volta non vide la solita determinazione che lo contraddistingueva. C’era qualcosa che lo turbava, qualcosa di cui non gli aveva parlato.
«Ah... sì... giusto» biascicò Aleksander.
«Ora sei calmo?» Nemmeno Nicolas era convinto della domanda, dal momento che vedeva in lui tutto tranne la calma.
«Sono calmo» rispose bruscamente.
«Lo vedo.»
«È un periodo di merda.»
«Mmm... e devi dire grazie alla biondina che ti
porti dietro? A proposito è per lei che mi hai dato buca? Troppe cose da fare suppongo.»
A quella battuta Aleksander non riuscì a trattenente un sorriso. Pensò alla sua bambolina e... Aspetta ha detto biondina? Rifletté Aleksander.
Nicolas aveva un debole per le bionde ed era meglio per lui chiarire subito un punto. Non avrebbe sopportato sguardi diretti da nessuno tanto meno da lui.
«Nicolas, quella biondina è off limit» e lo avvertì senza troppe cerimonie.
Sbatté gli occhi spiazzato. «Addirittura off limit. Cosa ti ha fatto il lavaggio del cervello?»
«Una cosa simile» e così dicendo confermò i suoi sospetti.
Aleksander stava cambiando.
«Non ci credo» esclamò.
«Devo andare» tagliò corto guardando l’orologio.
Doveva sbrigarsi o avrebbe rischiato sul serio di perdere l’aereo.
«No, no, ora mi dici che cazzo stai combinando.»
Girò gli occhi Aleksander. La mattinata era partita male, la notte passata era stata anche peggio e una chiacchierata era l’ultima cosa che desiderava. «Fai buon viaggio, ci vediamo a New York.»
«Aspetta...» lo fermò Nicolas per un braccio guardandolo con palese preoccupazione, «tra un giorno o due ti saprò dare quella risposta, ma io e te non ci siamo parlati, intesi?»
«Tranquillo a tuo zio non dico nulla.»
«Mi avresti sulla coscienza perché mi aprirebbe in due..»
«Spaccherebbe il culo a entrambi non solo a te, quindi terremo la bocca chiusa.»
«Questa è una cosa grossa» precisò Nicolas, «fino a tanto non ci siamo mai spinti.»
«Lo so, e per questo ti devo ringraziare» lo afferrò per le spalle, «e una volta che mi darai quello che ti ho chiesto, ti dimenticherai di questa storia.»
Una richiesta impossibile per Nicolas che lo vedeva come un fratello maggiore da proteggere. Avevano solo un anno di differenza ma Aleksander nonostante questo non si era mai risparmiato nel prendere le sue difese, ma ora toccava a lui.
«Ti devi guardare alle spalle Aleksander e se non lo farai tu ci penserò io.»
«No, tu stanne fuori.»
«Fuori? Io ci sono dentro fino al collo. Non ti lascio solo.»
«Tu. Devi. Starne. Fuori.» sibilò enfatizzando parola per parola. «Mi hai capito?»
Sospirò amaramente Nicolas senza rispondere.
«Nicolas, mi hai capito?» insistette Aleksander scrollandolo per le spalle in attesa di quella risposta che lo avrebbe tranquillizzato.
«Sì... sì, ho capito» borbottò infine contro voglia.
«Bene» lo lasciò andare ma prima di dileguarsi lo abbracciò dandogli una sonora pacca sulla schiena. E in quella stretta ripensò all’anno in cui si erano ritrovati dopo una lunga separazione, l’anno in cui Aleksander scappò da Como riappropriandosi finalmente della sua vita...
V
27 Luglio 2013 - Ore 9:33
Oliver parcheggiò la macchina improvvisando un posto accanto ai veicoli della polizia.
Si guardò attorno osservando i campi distesi e il viale inghiaiato alle sue spalle. Una leggera polvere, innalzatasi al suo passaggio, si stava dissolvendo concedendogli una visuale più nitida su Conzano, che si ergeva dall’alto della sua collina. L’aveva ammirata dal lungo rettilineo percorso per raggiungere il cascinale abbandonato.
Scese dall’auto e percepì un silenzio anomalo interrotto solo da un vociare indistinto e lontano.
Si avviò verso una coppia di poliziotti appostati all’ingresso del cortine non recintato. Vide una Peugeot 207 grigia con il bagagliaio sollevato e uomini della scientifica muoversi attorno impegnati a esaminarla.
Non riuscì, da quella distanza, a scorgerne l’interno, intravide solo un lenzuolo bianco penzolare sul paraurti.
Quasi vicino ai poliziotti Oliver iniziò a presentarsi conscio che lo avrebbero fermato non sapendo chi fosse. «Sono l’avvocato Oliver Padrini mi ha chiamato...»
«La dottoressa De Luca» lo precedette uno dei due e Oliver annuì dando conferma alla sua affermazione.
«Venga, la dottoressa ci ha avvisati che la stava aspettando. Entri dalla prima porta a destra.»
Oliver guardò stranito quel cascinale in pessime condizioni. Non c’erano ne porte ne finestre a proteggere l’immobile chiaramente abbandonato, eppure dai materiali utilizzati avrebbe giurato che fosse di recente costruzione.
Entrò in quella che al primo impatto gli sembrò la cucina, lo intuì dalle tubature e dai resti delle piastrelle ancora sui muri.
Pensò subito al gesto di vandali senza scrupoli, ma appena varcò la soglia del salone si bloccò alla
vista del sangue che impregnava i muri e i pavimenti in terracotta.
Chinata, vicino alla pozza più estesa di sangue rappreso, riconobbe Monica De Luca la criminologa, e sua cara amica, che quella stessa mattina intorno alle 6:30 gli aveva dato il buongiorno.
Avvolta nelle sue vesti professionali con la rigorosa coda di cavallo, un’abitudine che non aveva mai perso, si sistemò una ciocca di capelli ribelli dietro all’orecchio.
La loro conoscenza risaliva ai tempi dell’università, dove per i primi anni avevano frequentarono insieme la facoltà di Giurisprudenza. Diverse volte si erano trovati a collaborare per vicende che interessavano Como e dintorni, ma questa volta non capì il suo coinvolgimento.
Durante la telefonata era rimasta sul vago e per buona parte del viaggio Oliver si domandò il motivo di tanta riservatezza.
La scena che aveva di fronte non preannunciava nulla di buono e ripensando al veicolo intuì le ragioni.
«Eccoti finalmente, volevi perderti il più bello?»
«Ciao Monica» e fece un cenno di saluto ai suoi colleghi maschi che ricambiarono con una veloce alzata di mano.
«Arrivo subito» disse rivolgendosi a Oliver prima di dare le ultime direttive ai suoi colleghi; poi si sollevò dal pavimento e si diresse verso di lui sfilandosi i guanti in lattice e sorridendogli con lo sguardo da dietro gli occhiali da vista che indossava. Una montatura nera accattivante, all’ultima moda, che da donna semplice quale era le donava un certo charme. Risaltava i suoi occhi nocciola.
«Ti trovo bene.»
«Mai quanto te» precisò Oliver con un sorriso seducente.
Tra loro non c’era mai stato nulla se non un rapporto di amicizia. Anche se era una donna interessante, bella quanto intelligente, Oliver sapeva bene che erano due qualità letali per un uomo. Lo sapeva perché in quella dolce trappola c’era già cascato e non ne era mai uscito.
«A cosa devo questo invito?» chiese Oliver guardandosi intorno.
«Deduco che non sei contento di vedermi.»
«Non in queste particolari occasioni.»
«Vieni ti mostro il motivo del mio invito.» Attraversarono il cortile dirigendosi verso la
Peugeot.
«Rinfrescami la memoria, sei debole di stomaco?» gli domandò Monica.
«Non ricordo di aver mai rimesso dopo un nostro appuntamento.»
Sorrise. «Dal momento che ci siamo visti solo in queste circostanze credo che sia un bene. Vorrà dire che prima o poi dovrai chiedermi un vero appuntamento» e mentre lo disse si fermò di fronte al bagagliaio sollevando il lenzuolo bianco.
«Sta flirtando con me dottoressa, dovrebbe sapere che... Cristo!» scostò lo sguardo Oliver appena vide il volto di un ragazzo con gli occhi sgranati e il cranio perforato da un colpo di pistola. A coglierlo impreparato furono le sue pupille velate da una morte violenta.
«Lo riconosci?»
«Non credo di averlo mai visto» rispose Oliver guardando la criminologa che al contrario suo riusciva a scrutare il volto di quel ragazzo senza battere ciglio.
«Ti presento Paolo Maffei, il ragazzo di cui mi avevi parlato qualche giorno fa’.»
«Paolo Maffei?» ritornò coraggiosamente a guardarlo sorpreso dalle parole di Monica.
«Il cadavere è stato ritrovato questa mattina intorno alle 6:00. La segnalazione è scattata grazie a un vicino proprietario del cascinale che vedi oltre quei campi» disse indicandoglieli. «Ha avvisato i carabinieri descrivendo una macchina che sostava dalla sera precedente. Dalla breve dichiarazione che ha rilasciato, il cascinale sembrerebbe preso di mira dal 2009, l’anno in cui è stato abbandonato. Spesso vedeva gironzolare i ragazzi dei paesi accanto, quindi all’inizio non ci ha dato peso. Come avrai capito, guardandoti attorno, la maggior parte dei danni che ha subito l’immobile sono per mano di ragazzi con ben poco da fare durante il giorno.»
«Lo sospettavo» rispose Oliver.
«Per quanto ne sappiamo i proprietari sono originari di Firenze, attualmente residenti a Milano. Stiamo cercando di rintracciarli.»
«E della macchina cosa mi dici? Siete risaliti al proprietario?»
«Il proprietario ce l’hai di fronte. La macchina è intestata a Paolo, ma c’è dell’altro.»
Riprese a camminare Monica conducendo Oliver verso delle assi di legno adagiate contro un muretto. C’era dell’erbaccia fitta che ostacolava la visuale e Oliver si rese conto di essere di fronte a un pozzo solo quando ci fu vicino.
«Te la senti di dare un’occhiata?»
«Mi hai chiamato apposta, no?»
«Metti questi allora» e gli allungò un paio di
guanti in lattice presi dalla tasca dei jeans.
Si infilò i guanti e imitò la criminologa chinandosi e appoggiandosi con le mani al muretto per poi sporgersi in avanti. Allungò il collo mentre il collega della Scientifica, accanto a loro, puntò una lampada per mostragli il fondo del pozzo. Appena i suoi occhi si abituarono alla luce e misero a fuoco, la vista del suo sconvolgente contenuto lo fece scattare all’indietro.
Non emise parola, ma bastò uno sguardo a Monica per capire ciò che pensava.
«È sconcertante, lo so, e sarà ancora peggio quando la tireremo fuori.»
L’immagine che Oliver aveva impressa nella mente non lo aiutò a capire se fosse davvero una persona, a fatica aveva riconosciuto un corpo umano.
«Che diavolo le hanno fatto?»
Monica scrollò piano la testa risparmiandosi di entrare nei dettagli e cambiò filo del discorso pur rimanendo in argomento. «Sono della convinzione che chi abbia ucciso Paolo, non sia la stessa persona ad aver torturato e seviziato quella ragazza» e si allungò di nuovo per osservarla.
Il pozzo non era molto profondo, pochi metri dividevano la criminologa dal corpo martoriato, e da quella distanza aveva potuto studiare nel dettaglio la postura della donna con mani e piedi legati. «Per il riconoscimento dovremmo affidarci alle analisi del caso, perché il volto come hai potuto vedere è completamente sfigurato, ma suppongo dalle condizioni del cadavere che sia deceduta da due forse tre giorni al massimo. L’esposizione agli agenti atmosferici ha accelerato lo stato di decomposizione...»
«Aspetta, hai detto ragazza?» la interruppe Oliver ripensando alle sue parole.
Monica abbassò gli occhi per un istante nell’indecisione se sbilanciarsi o meno. Non era del tutto certa di quello che stava per dire ma proseguì comunque. «Sospettiamo sia la figlia dell’imprenditore Filippo Virto» rivelò e Oliver spalancò gli occhi.
«Cosa?»
Continuò Monica: «Due giorni fa, giovedì 25 luglio, la moglie ha denunciato la scomparsa della ragazza. Tra gli oggetti personali di Paolo abbiamo trovato una chiavetta usb con dei video amatoriali dove veniva ripresa Veronica in compagnia di un secondo ragazzo, Alberto Croveri.»
«Alberto Croveri, il trafficante di diamanti arrestato la notte del 21 luglio?»
«Proprio lui, e indovina un po’? Questa matti- na hanno ritrovato il suo cadavere. Si è impiccato nella sua cella, ma con tutta la notte a disposizione ha pensato di farla finita proprio durante l’ora d’aria. Un po' strano non trovi?»
«L’hanno fatto fuori» concluse Oliver.
«Già, bisogna capire il motivo e il nesso è tra questi ragazzi. Dobbiamo passare al setaccio la loro vita.»
A quelle parole Oliver capì dove Monica poteva arrivare, ad Aleksander e non poteva rischiare che accadesse.
«Hai parlato di video... che genere di video?»
«Per questa informazione offrimi almeno un caffè» brontolò Monica provata dalla lunga mattinata.
Quella battuta fu uno spunto per Oliver. «Forse è arrivato il momento di offriti una buona cena» disse pensando all’unico modo che aveva per tenere sotto controllo la situazione, diventare più intimo con Monica.
VI
27 Luglio 2013 - Ore 6:43
Aleksander chiuse gli occhi concedendosi il lusso di ascoltare il suono scrosciante dell’acqua che scorreva sul suo corpo come la carezza che da anni gli era stata strappata... quella di sua madre.
Il ricordo corse a lei... Evelin, ai suoi occhi pieni di amore che incrociò l’ultima volta che si videro. A quell’abbraccio che gli diede prima che lo lasciasse tra le amorevoli cure di Jayani. Ripensò al suo sorriso mentre le disse: “È una cena di lavoro amore, non ti possiamo portare, ma torneremo tra un paio d’ore. Promesso.”
Una promessa che Evelin non poté mantenere.
Una fitta colpì Aleksander allo stomaco facendogli spalancare gli occhi. Serrò le labbra respirando con affanno e uscì dalla doccia.
Prese un asciugamano e se lo avvolse attorno al bacino. Passò una mano sullo specchio ripulendolo dal vapore che lo aveva appannato e si guardò.
La mascella era contratta e nei suo occhi vide quella rabbia che per un momento pensò di aver sconfitto. Era deciso a voltare pagina, lo voleva con tutto se stesso, perché ora aveva una buona ragione per farlo.
Si tamponò i capelli con un asciugamano e ancora con il corpo umido camminò verso la camera da letto.
Era mattino presto a New York e Aleksander nonostante la notte passata, in cui aveva dormito poche ore, si svegliò all’alba. Per non disturbare Sabrina decise di farsi una doccia e rinfrescarsi le idee, ma non fu una grande scelta.
Il conforto lo trovava solo standole accanto.
Fece per entrare nella stanza ma si fermò sul ciglio della porta per guardarla.
Dormiva profondamente con i capelli biondi che le cadevano sul viso. La sua bocca era come una mora invitante e quegli occhi verdi che non
avevano smesso di tormentarlo si erano, finalmente, posati su di lui.
Non poteva immaginare che le cose sarebbero andate così tra loro, ma fin dalle prime volte che sua zia Flora gli raccontò di una bambina dai lunghi capelli biondi e occhi color smeraldo - che la ispirò per l’associazione benefica - lui ne fu incuriosito.
Curiosità che fu ripagata quando in un pomeriggio, tra le vie del centro di Como, si scontrò accidentalmente con Sabrina.
La riconobbe all’istante dalla foto che sua zia custodiva nel cassetto del comodino. Gliela mostrò in rare occasioni, ma fu sufficiente ad Aleksander per memorizzare quel volto.
Sabrina era in compagnia di sua nonna - allora Aleksander non conosceva Ginevra - e nella mischia non si accorse che la nipote era ferma a qualche metro di distanza. Lo degnò a malapena di uno sguardo, era giovane ma già così bella che Aleksander non poté far altro che rimanere fermo a guardarla, mentre Sabrina si voltò scomparendo dalla sua visuale.
Provò una sensazione strana nel vedere quelle spalle minute allontanarsi come se non esistesse, come se fosse un fantasma.
Non era abituato a passare inosservato, anche se all’epoca era un ragazzo dalla bellezza rude, trasandato, ma per fortuna da lì a poco lo attendeva la svolta della sua vita.
Aleksander si avvicinò al letto chinandosi sul corpo supino di Sabrina. Non voleva svegliarla ma non riuscì a resistere dal desiderio di sentire le sue labbra. Doveva saziare la bestia che scalpitava dentro di se, doveva tenerla a freno e il suo dolce sapore era quello di cui aveva bisogno.
La baciò respirando così profondamente da rimanere tramortito per alcuni secondi dal suo profumo; poi riaprì gli occhi scostandosi di poco per poterla osservare.
Ne era perdutamente innamorato... era quella la verità.
Appoggiato con le mani al materasso, rimase sospeso sul suo corpo fino a quando sentì l’esigenza di adagiarsi accanto a lei.
Fu incredulo per un tale bisogno, ma Dio solo sapeva quanto si sentiva in pace soltanto abbracciandola.
Si liberò dell’asciugamano infilandosi sotto le lenzuola e la sollevò quanto bastava per farla appoggiare al suo petto. La strinse a se, accarezzandole con dolcezza la schiena nuda, mentre lei dormiva profondamente. Avrebbe desiderato svegliarla e fare l’amore... ancora... non riusciva a saziare il suo desiderio, ma la lasciò riposare.
Ne aveva bisogno dopo la notte passata.
Non gli era mai successo di provare un’attrazione così viscerale per qualcuno. Si era sempre e solo trattato di sesso, e molto spesso, quanto tutto era finito, lo infastidiva perfino essere toccato, ma di lei non ne aveva mai abbastanza.
Più i giorni passavano e più si sentiva coinvolto... ma ne era anche spaventato.
Dove li avrebbe portati questo rapporto?
Suonò il cellulare.
Aleksander si sbrigò allungando il braccio sul comodino con l’intento di spegnere il telefono, ma vedendo che si trattava di Nicolas rispose.
«Sappi che mi stai disturbando, quindi spero per te che sia qualcosa di importante altrimenti metto giù» disse in tono ironico, anche se non ci avrebbe pensato due volte a farlo davvero.
«Più che importante, ho il nome che cercavi.»
«Ah bene, quindi?»
«Quindi ti devo dare ragione. Non è necessario
che ti guardi alle spalle, basta che guardi al tuo fianco.»
Aleksander incassò il colpo abbassando istintivamente lo sguardo su Sabrina, l’unica che aveva conquistato quel posto.
«La biondina è immersa fino al collo in questa storia, controlla tra i suoi effetti personali, dovresti trovare una carta di credito intestata a tua zia Flora, la donna che sta finanziando Filippo Virto» concluse deciso Nicolas, ignaro di ciò che avrebbe scatenato la sua telefonata.
Ad Aleksander mancò il respiro mentre si sentì inghiottire in un precipizio così profondo e buio da non vedere la fine.
Riattaccò trattenendo il telefono con forza nella mano, quasi volesse distruggerlo.
Si sentì sospeso in una dimensione dove non gli era concesso vedere e udire nulla tranne la rabbia che ai suoi occhi si mostrava con l’aspetto di un demone, un demone che non sarebbe più riuscito a combattere.
Si alzò dal letto, e nonostante la bestia rabbiosa che gli stava divorando il cuore, i suoi movimenti rimasero silenziosi.
Era una bomba a orologeria e l’innesto per farla esplodere era a pochi metri di distanza. Si avviò verso il salone e puntò gli occhi sulla borsa di Sabrina, adagiata sul divano.
Si avvicinò e con un solo gesto rovesciò il contenuto sul tavolino di fronte. Prese il portafoglio e dopo aver sfilato diversi documenti... trovò la carta nascosta in un taschino interno.
I suoi occhi di spalancarono. Aleksander si trattenne dalla voglia di urlare, ma fu peggio. Con la carta stretta tra le dita richiamò Nicolas.
Non gli diede il tempo di parlare, appena lo sentì rispondere disse: «Trovata. Tra dieci minuti sono da te» e riattaccò.
Si vestì con una calma apparente temibile più della furia, perché nel ragionamento si cela la chiave della vendetta.
Uscì dall’appartamento e nonostante non sbatté la porta il vaso di fiori, che aveva regalato il giorno prima a Sabrina, cadde riversando sul pavimento petali di rose, come un tappeto che presto si sarebbe macchiato di sangue.
VII
27 Luglio 2013 - Ore 19:40
Sabrina se n’era andata, cacciata da Aleksander che ora si guardava attorno in piedi nella stanza dove prima c’era lei.
L’aveva obbligata a far su le sue cose, trattandola come se ai suoi occhi non contasse più nulla, ma era una menzogna.
E ora nel trovarsi solo, senza più quella luce che gli infondeva speranza, si sentì uno scheletro privo di carne, arido come il deserto più infuocato.
Le mani gli tremavano e il cuore non smetteva di pompare nel petto minacciando di esplodere.
Stava male come non gli era mai successo in quasi ventisei anni di vita. Si trascinò fino al letto accasciandosi sui cuscini e le lenzuola che portavano ancora il suo profumo.
Ispirò con avidità trovandosi in paradiso e subito dopo all’inferno.
Un urlo disumano uscì dalla sua gola squarciando il silenzio per un dolore che lo sta lacerando nel profondo, dove nessuno era mai riuscito a colpirlo.
Era più doloroso della morte, più letale del veleno, era l’amore e per quello non esistevano armi con cui difendersi.
Senza di lei sarebbe deragliato e se la fine lo stava attendendo c’era un’ultima cosa che doveva fare: trascinare con se tutti i bastardi che meritavano di seguirlo tra le fiamme dell’inferno.
«SABRINA!» Lanciò l’ennesimo urlo invocando il nome dell’unica donna che avesse mai amato e che ora l’aveva tradito.
*
Un colpo in pieno volto stordì Aleksander, che non poté muoversi con le mani e i piedi legati a una sedia di legno sulla quale era immobilizzato.
Tre mesi dopo...
Era nello scantinato di un locale rinomato di Milano, dove nessun cliente poteva sospettare ciò che stava accadendo. Per un attimo non sentì la voce dell’uomo che lo stava picchiando, ma appena il ronzio svanì eccola ritornare. «Dov’è la ragazza?»
La ragazza... non mi importa. Voglio solo farla finita. Pensò Aleksander, sconfitto dall’agonia che lo stava consumando da mesi.
Sputò il sangue che aveva in bocca e sorrise beffardo, desideroso di altri colpi.
«Finiscimi» lo incitò con voce impastata.
«Tu inizia a parlare o ti finisco sul serio.»
«Non aspetto altro» e un nuovo colpo più violento lo fece crollare a terra, mentre il sangue sgorgava dalle ferite aperte sul volto, lui pensò a lei... Sabrina.
Il suo ultimo ricordo prima del buio.
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